Gastronomia Tradizionale: la Cuccìa di Buscemi 
Inserita nella festa di S. Antonio (17 gennaio) la cuccìa è un cibo rituale che si mantiene ancora in diverse famiglie. Si tratta di grano integro, bollito a lungo, dopo essere stato lasciato in ammollo una notte. Il giorno della festa del santo si consuma condito con miele o ricotta oppure olio. Si offre ai vicini e si portava un tempo in chiesa. In altri paesi, compreso il capoluogo Siracusa si consuma il 13 dicembre, condita con ricotta dolce e canditi per decorazione. Esso è un piatto della tradizione che può benissimo trasformarsi in un prodotto da servire tutto l’anno. Da cibo rituale, che rinvia ad antichissimi rituali in onore di Demetra e Kore (il chicco di frumento), infatti, diventa cibo laico, che viene servito anche nei ristoranti locali e altrove.

Gastronomia Tradizionale: i Saschiteddi 
Sono i dolci più tipici del Natale a Buscemi. L’etimo deriva certamente da parola latina, da cui discende flauto, poiché il dolce ha la forma di un tubo (farcito), quasi un fischietto. É il più radicato fra i dolci natalizi, quello che si prepara in casa sempre e comunque per Natale. È una sorta di tubo (fiasco, fiascone, çiascu, da cui çiascuni) di pasta di grano duro non dolce, farcito con un impasto di fichi secchi, miele, mandorle, noci, strutto (saimi), chiodi di garofano, cannella, cotti al forno.

Gastronomia Tradizionale: i Cruni i’ spini 
Tra le offerte di pani o dolci fatte a S. Giuseppe a Buscemi si era soliti donare le cruni i spini, chiamate a Palazzolo pagnuccati e a Canicattini gnuocculi. Si dispongono a ciambella e poi s’immergono nell’olio bollente per risalire immediatamente alla superficie della padella già croccanti. Si dispongono su una guantiera o un piatto, e si spargono di cannella e zucchero.


Pane devoto: i Cannaruzzeddi i’ San Brasi 
Si tratta di un panetto figurato a forma di trachea, plasticata in verticale come una trachea (cannaruozzu in siciliano). Si confeziona il giorno della festa di San Biagio 3 febbraio ed è pane dai risvolti magico sacrali, favorendo, se consumato il giorno della festa, la guarigione dai mali di gola. Esso è un piatto della tradizione che può benissimo trasformarsi in un prodotto da servire tutto l’anno. Da cibo rituale, che rinvia ad antichissimi rituali in onore di Demetra e Kore (il chicco di frumento), infatti, diventa cibo laico, che viene servito anche nei ristoranti locali e altrove.

Molitura e Grani antichi di Buscemi 
Per il fatto di poter macinare piccole partite di grano, il mulino è strettamente legato alla popolazione sia coltivatrice che non, i quali non riuscirebbero a molire nei grandi stabilimenti moderni. Il mulinaro riesce a seguire i vari passaggi controllando i vari stadi di molitura e vagliando a mano il grado di raffinazione, come mostra di conoscere il figlio Vincenzo, che mostra la sapienza indotta dall’esperienza e dall’eredità culturale ricevuta: protagoniste sono le mani che vagliano le varie fasi della molitura, dalla sbagnatura, quando il grano si inumidiva, lasciando a riposo mezza giornata, all’ultima fase in cui le mani vagliavano la consistenza della crusca, scegliendo la giusta macinatura. La fase finale è l’imbustamento per la vendita nelle botteghe.
I grani antichi:
1) Il Russellu (l’antica RUSCIA) un grano duro usato nel modicano per confezionare pani a pasta dura. Ottimo grano con spiga allungata, dai chicchi piccoli (panzutedhi). La farina era di un bianco che l’avvicina alla maiorca. Si tratta di un frumento molto delicato che in pianta era facilmente attaccato dalla golpe (u niuru).
2) Margaritu grano duro resistente alle intemperie. Ha spiga grossa con arista nera, era di scarsa resa. Si mescolava soprattutto con la timunia per conferirle più elasticità
3) Bidì o senatore Cappelli è la varietà più usata dai contadini coltivatori. Dà farine bianche, adattissime alla panificazione, anche se la resa era più contenuta. Forniva anche la paglia necessaria all’allevamento animale.
4) Timunìa (grano marzuolo). Di ottima qualità che aveva la caratteristica che si poteva seminare sino a marzo anche in terreni inzuppati d’acqua. Era tuttavia considerato grano scadente, adatto alle pianure (si seminava soprattutto nei terreni acquitrinosi di Lentini). La macinatura veniva alquanto difficoltosa.
5) Scussunella, somigliante al Cappelli.

Gastronomia Tipica: i Salumi di Buscemi 
Con riferimento specifico alla salsiccia e al salame, la tecnica specifica di Buscemi per la preparazione dei salumi prevede il sapiente uso delle spezie, dei condimenti e soprattutto del sale, insomma u cuonzu ra sasizza. E ancora: le tecniche di taglio, la cosiddetta capuliata, cioè il taglio a punta di coltello. Conta poi la stagionatura, l’affumigatura eventuale, la conservazione all’aria pura, cioè ai giusti venti di tramontana.

Panificazione tradizionale 
Panificare in casa era non solo una necessità, ma un rito con straordinarie implicazioni magico sacrali. L’impasto primordiale di farina e acqua ha dato luogo a due tipologie di prodotti tipicamente mediterranei: il pane e la pasta, quest’ultima nelle due varianti fresca e secca. La panificazione tradizionale di tipo familiare garantiva il sostentamento della famiglia contadina. Si calcola che il bisogno base era di un pane di un kg al giorno, per questo era necessario, producendo il pane per una settimana, almeno un “pastone” di otto o nove chili.

Pani figurati della Pasqua 
Se i pani di S. Giuseppe ornano gli altari o le tavole delle cene, quelli di Pasqua sono oggetti, rilievi autonomi, che imitano ora la natura e le sue creature, ora oggetti della vita quotidiana. Molti presentano incorporato l’uovo simbolo di nascenza e rinascenza, di vita e di giocosa imitazione di essa. Ecco allora a Buscemi, e in misura superiore che altrove, comparire la vigilia di Pasqua i pani figurati, che rallegravano i bambini. Ponte tra vita e morte, tra bisogno e abbondanza, il pane figurato è segno di festa, frutto di un gioco che si pone come il coronamento del processo della panificazione, rivolto ai ragazzi e alle ragazze, come dono e insieme augurio da parte degli adulti.

Annata agricola di Buscemi 
Il terreno da seminare si preparava alla semina, coi lavori di pulizia delle chiuse da destinare alla semina. Si tagliano (smàcchiunu) rovi e spine, si spatulinu i saittuni, o si mietono con falce e forcella (cca fauci e u furcali).
Ma la prima fase vera e propria era un’operazione fondamentale nell’economia del ciclo di produzione: l’ARATURA.
Seguiva la SEMINA, che si faceva a mano con l’uso della coffa (sporta di foglie di palme nane dette curine.
Terza fase era la SCERBATURA e il sarchiare, che si faceva con la zappa o con erpice trainato da bestie.
Quarta fase quella più pesante e al contempo essenziale:
LA MIETITURA con l’uso della falce strumento dalle origini primordiali.
LA TREBBIATURA completava il ciclo, essa si faceva sull’aia con l’ausilio di bestie, in genere muli robusti e giovani. Cui seguivano tutti i processi di pulizia del grano e di immagazzinamento nei cannizzi o in speciali ripostigli di tavole, chiuse da porte a serrature e catenacci.

Sudhi 
Trattasi di un tipo di pasta tradizionale con una ricetta specifica che ne fa un tipico piatto della domenica. Essi, pur connotati fortemente, non hanno riverberi devozionali, ma nutrono e denotano, laicamente, svolgendo il loro ruolo di cibi della memoria, pur senza connotati devozionali, sacrali, rituali.

Cassatedde di Buscemi
Tipico dolce Buscemese fatto con ricotta, zucchero e cannella. Fortemente legato ai riti del Venerdì Santo, questo dolce si richiama alla tradizionale cassata siciliana, anche se realizzato con preparazione e ingredienti differenti.
Turro o Patacò (cicerchia) – Libro dei saperi
La cucina tipica buscemese è quella contadina, dove spicca il consumo di un legume, che è una rarità ormai, per essere coltivato solo in aree particolari: si tratta della cicerchia, detto scagghiuni a Buscemi, legume assai simile al cece e al lupino, sul quale da qualche tempo hanno investito i coltivatori di Licodia, raggiungendo una considerevole produzione. Con patacò, ricetta che parte dalla riduzione della cicerchia in farina, il siciliano indica qualsiasi tipo di polenta, e qualsiasi cosa che venga ridotta ad impasto. A Buscemi il preparato si chiama con termine antichissimo turru o cuturru.

Gelatina 
La carne di maiale in gelatina è una specialità che vanta una tradizione gastronomica antichissima. Una volta tagliate, le parti del maiale si mettono in ammollo in acqua per una giornata, successivamente si fanno bollire con foglie di alloro. La carne, disposta in barattoli a chiusura ermetica, viene ricoperta dal brodo, al quale si aggiunge succo fresco di limoni siciliani (il femminello siracusano) e peperoncino; si lascia, poi, a riposo per una notte. La gelatina ottenuta si consuma fredda e può essere conservata in frigo per alcuni giorni. Ideale come antipasto tagliata a cubetti o come piatto unico accompagnato con dell’insalata.

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